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Aprile 2016

Il segno, è il segno

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Il segno, è il segno

Per combattere le cattive intenzioni e i progetti malefici che ogni giorno e ripetutamente si presentano in terre considerate (erroneamente e con grande ignoranza) povere, senza stimoli, senza risorse, non è indispensabile utilizzare la negazione NO. Piuttosto servono parole diverse, nuove e vecchie, propositive e ricche di spirito e forza, che possano, una dopo l’altra, costituire una narrazione del bello, del ritmo, dell’irrazionale intrinseco e di quel senso inconscio che appartiene a chi in queste terre è nato…

I coppoloni

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I coppoloni

Sala da 400 posti, sei del pomeriggio, solo poche persone per la prima de Nel Paese dei Coppoloni. Una ventina tra cui due famiglie di Calitri, padre madre e tanti figli, gente che lavora qui al nord e che si rivede dopo tanto tempo. Parlano di gente che appartiene, con l’entusiasmo della riconoscenza, il figlio di, il padre di, la ragazza che…E poi poco prima dell’inizio del film di Vinicio Capossela, i due padri di 55 anni parlano tra loro, “ma allora tu che fai, hai deciso, resti qua definitivamente o te ne torni? e l’altro ” i figli sono grandi e dove vai più, si scende, quando si può”. A 55 anni…queste domande. Poi si rivolgono a me, ma lei di dov’è, di Calitri pure lei? No, dico, provincia di Salerno, e le donne “ahaaa volevo dire, è là vicino”. Il film, mitologia di posti abbandonati, il sacro che c’è nelle cose dove lo sguardo dell’uomo non posa, le strade e le case strette, i boschi, le luci soffuse dei centri storici, l’algìa del non ritorno, ritrovarsi in cantina, dal barbiere, in una casa a cantare, tra vino, formaggio e chiacchiere, la vita! E poi i suoni, gli sposalizi e la mietitura cose che non ci sono più, come gli uomini che guardano e apprezzano le donne, e la banda della posta che quando passa, la gente chiude le finestre perché ora vogliono la modernità.
E chi torna si chiede perché poi dovrebbe, non è mica possibile vivere all’ombra di un orologio fermatosi nel 1980, tra porte sempre chiuse e la melanconia.
Ma la notte è bella anche sola sola e il suono dell’acqua delle fontane fa compagnia.

Che strano!

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Che strano!

Parlava di cose che una volta credevo fondamentali e che ora mi sembravano strane. E pensavo come era strano che ora quelle cose che solo un paio di anni fa ritenevo importanti, mi apparissero così strane. Parlava e si riferiva a parole come “performance, risultati, obiettivi, aggiornamenti”, e mentre parlava e io pensavo a come erano strane quelle parole, pensavo anche che invecchiare è bello, perché vuoi vivere e sentire. Pensare che invecchiare è bello, perché vuoi vivere. Che strano. E allora mi son sentito veramente strano e ho iniziato a fare cose mai fatte fino a quel momento, perché volevo vivere, invecchiare sì ma vivere.

Pulito relativo

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Pulito relativo

Come era stato dirompente l’arrivo in quella nuova terra, nel bene e nel male. Pulita. Anzi troppo pulita, quasi a lavare le coscienze e la vita stessa di tutti i fronzoli, le storture, le variazioni e l’irregolare che fanno della vita, la vita stessa. E con case ovunque sui monti. Abusivismo edilizio? Chissà, tutto è relativo. Al Sud, l’abusivismo è nel piano. E le case sono sempre in attesa di essere concluse, a volte lo scheletro è evidente, altre volte manca l’intonaco o il colore, ma si attende la fine, e nell’attesa si vive tra l’ansia e la felicità. Ma quell’arrivo valeva la pena viverlo assaporando ogni cosa, ogni sentimento, ogni novità.

Che ti strazia il cuore

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Che ti strazia il cuore

Vite che si inceppano su errori del passato, sogni stracciati da confini stranieri, tentativi coraggiosi stravolti dal destino, volontà totali divorate dalla furbizia, calore raffreddato da labile psiche, rimorsi inviolabili. Adesso non c’è nulla. Più nulla, mi dicono, in questa sera di luna piena, davanti a un cielo stellato che riflette le Alpi innevate. In una sera come questa, che sola a vederla ti strazia il cuore di bellezza e fa pensare avanti, qualcosa c’è, c’è sempre qualcosa.

Un “Mi ricordo” post/contemporaneo

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Mi ricordo che al coworking Kiio Lab di Lecce, Enzo con le sue stampanti 3D dà corpi a fantasie di musei e matrimoni, e che Sara, Vulcanicamente parlando, progetta l’Europa dei giovani.  Che là dentro c’è un artista milanese che inventa giochi creativi per bambini e dà l’esempio,  e che un architetto toscano con lui ha realizzato un piatto per mangiare in piedi, che da qualche mese un piemontese si è trasferito qui per scrivere un libro e che una ragazza polacca e una spagnola, dopo l’Erasmus, sono rimaste qui per vivere di candele e street art.  Anzi a pensarci, sono rimasti tutti qui per viverci Keep Reading

La furbizia, la paura e l’ammirazione

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Montagne e valle, vicoli stretti in salita, di pietra e di terra, animali e terra, contadini chiusi, poveri, insicuri, sempre sottomessi a qualcuno o a qualcosa, contadini tanto tempo fa,  poi emigranti, poi mezzo arricchiti, con la paura di perdere tutto. Una paura che ci difende ma ci attanaglia, sempre. Che spesso e non sempre crea scetticismo. Che in altre occasioni crea disillusione. Keep Reading

Il professionista “arricchito”

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Facciamo un patto, pensiamo al presente. Chi ha accumulato, negli anni passati, inizi a dare un suo contributo al pezzo di terra dove sta lavorando e dove ha acquisito la sua FAMA. Oggi il lavoro manca, i soldi non girano e così la vita sociale sembra sparita, alle iniziative di ogni sorta ci si crede sempre meno. Eppure c’è chi negli anni, nel nostro caro bel pezzo di terra, si è arricchito. E non parlo dei politici, questa volta. Ma di gente che ai politici sicuramente deve molto e che, oltre alla politica, ha fatto leva sui privati cittadini e i loro bisogni. Parlo dei professionisti. Non tutti, è ovvio. Ci sono anche quelli che hanno iniziato tardi e negli anni sono arrivati dopo, quando i posti erano già tutti occupati. O quelli che hanno scelto altre strade. Keep Reading

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