Il buio è buio, tutto o nulla

in Accadimenti di

Rannicchiarsi, camminando incerto. Rannicchiarsi, incerto nell’ascolto. Stringendo le spalle, incassando la testa, cauto mi tuffo nel nero, lasciandomi alle spalle la neve che cade fuori, bianca se la vedi, eppure fresca se la tocchi, eppure fragrante se la odori.

Una cena è solo una cena, speciale se è al buio. La prima volta che ne ho sentito parlare ero a Lugano, quattro anni fa. L’associazione di ciechi invitava a cena un gruppo di giornalisti e il mio collega Paolo ne ha scritto e raccontato il giorno dopo. Quattro anni e stasera me la ritrovo, un po’ voluta, un po’ per caso, qui nella mia terra, a Sant’Arsenio in provincia di Salerno, grazie all’associazione Voltapagina che la organizza in collaborazione con il CSV Sodalis di Salerno e a Gelsomina Palmieri, la tiflologa, (non sapevo cosa fosse prima, mea culpa) che nel Vallo di Diano l’ha proposta per la prima volta. E questa sera a cena vado anche io, insieme a colleghi giornalisti, persone cieche o ipovedenti. Disabilità visiva si chiama, ma quando entro nella saletta adibita a cena, buia, la sensazione è il disagio del corpo, l’incertezza fisica nella sua pienezza. A recuperarmi dall’impatto oscuro è Imma, cameriera ipovedente, che mi dà il suo braccio, poi la spalla e lentamente mi accompagna a raggiungere la sedia, agguantata dopo scomposti movimenti. Il buio è buio, nulla o tutto, ma è buio e ti prende il corpo, incassandolo dentro. Mi rannicchio accanto agli altri ospiti seduti a tavola. Mi avvicino prudente a prendere bottiglie dal basso e bicchieri che non riempio per paura di versare liquidi. Non c’è il tempo di parlare con chi mi sta vicino, preso a capire cosa mi ruota intorno. Inutili tentativi, il buio è il buio, tutto e nulla, e percepirlo come abitudine sembra impossibile. Per Francesco che è dall’altro lato del tavolo è impossibile accettare il buio fino in fondo, soprattutto se hai visto il mondo prima, quando magari guidavi, e poi lentamente o improvvisamente tutto inizia a sfumare, fino a non vedere che il nulla, dieci anni di buio, ora che ne ha 40 e una vita davanti. Eppure stasera, Francesco sorride e ha la forza di chi, nonostante non accetti ancora, è andato a Bologna da solo per frequentare un corso per non vedenti, è tornato nel Vallo di Diano a vivere da solo in appartamento, perché ha 40 anni e non può vivere ancora con i genitori. Come dire, quando il buio diventa tutto. La voce di Imma annuncia piatti in arrivo, il primo. L’istinto è prendere tutto con le mani, che le posate sembrano larghe. Chicchi di riso con tartufo e sfoglia di pasta che volano via sul tavolo o a terra, tra salsa e chissà che altro. A non vedere non sai cosa mangi, se non annusando o aspettando suggerimenti dagli altri. Raffaele Rosa, l’animatore della serata e presidente dell’Unione Ciechi di Salerno, lo chiede a tutti: “Cosa state mangiando?”. I camerieri Imma, Giuseppe, Costanza aspettano le risposte. Vengono da Salerno e Napoli ma conoscono il Vallo perché a Polla c’è una sezione dell’Unione.  Cosa stiamo mangiando non lo sapremo mai esattamente, gli altri sensi dovrebbero aiutarci ma non sono immediati. Neanche l’udito è poi così attento. Accanto a me c’è Luigi, 63 anni, cieco da 5 anni dopo un glaucoma. Per ascoltarlo mi abbasso in avanti. Ci spiega come prendere il cibo dal piatto e intanto saluta la moglie all’altro tavolo e poi un amico al terzo tavolo, invitandolo a cantare. Ad accettare la sua disabilità per ora non ci pensa. “Se fossi nato cieco, forse sarebbe stato diverso, ma ora…Ero un direttore commerciale, sempre in giro, lavoravo tanto, troppo, lo stress mi ha rovinato. La disabilità ti cambia, i pensieri sono tanti, brutti, per fortuna c’è la famiglia, ci sono le responsabilità e c’è chi mi aiuta. Ma il bastone o il cane per passeggiare non li voglio. Non li accetto”. Le sensazioni variano nel racconto, nelle parole. Arriva il secondo e i tentativi di acciuffare il cibo si fanno goffi. A tratti, In bocca arrivano pezzi interi di carne, cipolle e frittata di qualcosa. Insomma, al buio, tutto o nulla. La pancia è già piena, ma la curiosità resta e mi sporgo davanti ad ascoltare ancora Luigi che, tra una risata e un consiglio, si rammarica di una cosa: la commozione. Quella che non riesce a provare, a percepire, a vedere, quando la nipote che ha davanti o la persona che ha di fronte, si lascia andare a un’emozione, “mi manca, la commozione mi manca”. Ho sete, riempio il bicchiere d’acqua, mentre arriva il dolce che assaggio soltanto un po’. Il tempo è veloce, un’ora breve sta finendo e così dopo aver ringraziato tutti, dal Comune di Sant’Arsenio per la disponibilità della sala, ai giornalisti, a Francesco, Luigi, Nunzia e Umberto, i camerieri dell’Unione accendono le luci. Gli occhi si chiudono, poi si stringono e lentamente si riaprono a guardare gli altri.

Cauto mi tuffo nel bianco, più consapevole di prima, più naturale di prima, lasciandomi alle spalle quella neve fuori che è bianca solo se la vedi, ma è anche fresca se la tocchi e fragrante se la odori.

Salvatore Medici

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