I coppoloni
Sala da 400 posti, sei del pomeriggio, solo poche persone per la prima de Nel Paese dei Coppoloni. Una ventina tra cui due famiglie di Calitri, padre madre e tanti figli, gente che lavora qui al nord e che si rivede dopo tanto tempo. Parlano di gente che appartiene, con l’entusiasmo della riconoscenza, il figlio di, il padre di, la ragazza che…E poi poco prima dell’inizio del film di Vinicio Capossela, i due padri di 55 anni parlano tra loro, “ma allora tu che fai, hai deciso, resti qua definitivamente o te ne torni? e l’altro ” i figli sono grandi e dove vai più, si scende, quando si può”. A 55 anni…queste domande. Poi si rivolgono a me, ma lei di dov’è, di Calitri pure lei? No, dico, provincia di Salerno, e le donne “ahaaa volevo dire, è là vicino”. Il film, mitologia di posti abbandonati, il sacro che c’è nelle cose dove lo sguardo dell’uomo non posa, le strade e le case strette, i boschi, le luci soffuse dei centri storici, l’algìa del non ritorno, ritrovarsi in cantina, dal barbiere, in una casa a cantare, tra vino, formaggio e chiacchiere, la vita! E poi i suoni, gli sposalizi e la mietitura cose che non ci sono più, come gli uomini che guardano e apprezzano le donne, e la banda della posta che quando passa, la gente chiude le finestre perché ora vogliono la modernità.
E chi torna si chiede perché poi dovrebbe, non è mica possibile vivere all’ombra di un orologio fermatosi nel 1980, tra porte sempre chiuse e la melanconia.
Ma la notte è bella anche sola sola e il suono dell’acqua delle fontane fa compagnia.