Quando la primavera , i suoi caldi, i suoi profumi inondano all’improvviso un sabato pomeriggio di marzo, la leggerezza è la sensazione principale che scorre nella mente e sulla pelle e pervade, anche quando non dovrebbe, tutto quello che va oltre il nostro corpo, gli ambienti, le persone, le sofferenze, gli sforzi, la rabbia e i problemi. Questo stesso respiro pervade anche lo stanzone a piano terra della parrocchia di Rebbio a Como, quella di Don Giusto con le sue battaglie per accogliere i migranti. Quattro donne sono sedute al lungo tavolo della mensa, fanno conti e parlano, mentre una quinta prepara il caffè al banco del bar. Agli altri tavoli e sui divani siedono ragazzi africani. Chi ascolta musica con lo smartphone, chi gioca con una ragazza, chi legge qualcosa o se ne sta con lo sguardo dritto a pensare, chi si alza. Fuori il viavai è ancora più intenso, ci sono due strutture nelle quali entrano altri ragazzi africani e arabi, dall’altra parte della strada c’è invece un campetto da calcio e tanti che corrono a calciare palla. Don Giusto oggi non c’è, si trova a Monza per il Papa, ma qui le volontarie sono operative e fondamentali.
Da quando in estate l’emergenza migranti è piombata dalla stazione di Como in città, la parrocchia ha assunto un ruolo determinante nell’accoglienza e qui, dopo la morte di un ragazzo di Mali folgorato sul Tilo a Balerna e un altro ragazzo camerunense ferito sempre dalle scosse elettriche del Tilo a Chiasso, il Ticino è diventato più vicino. O meglio più presente. Una delle quattro donne sedute al tavolo è Tiziana di Balerna. Ha un bar e un grotto nel Mendrisiotto e per due volte a settimana viene in parrocchia per dare una mano. Insieme a Marilù, la “storica” della parrocchia, gestisce “Il pozzo di Giacobbe”, lo spazio dedicato alla raccolta e distribuzione degli abiti per i migranti. Tra loro c’è l’amicizia delle donne, silenziosa, salda, consapevole. Tiziana è decisa a catapultare la vertenza migranti in Ticino dopo le folgorazioni sui treni. Per non dimenticare. Insieme a altri volontari sta costituendo un gruppo che si attivi per iniziative, raccolta fondi, azioni di sensibilizzazione. Conosce già un po’ tutti quelli che lo stanno facendo in altre associazioni ticinesi, ma precisa: “È necessario un gruppo che non sia identificabile con un partito politico e che faccia capire quanto è importante aiutare queste persone e dare risposte su quello che accade e sulla disperazione di chi vuole andare oltre confine. Queste persone sono esseri umani”.
Accanto a Marilù e Tiziana c’è Giorgia, 25 anni, da mesi volontaria a tempo pieno, per colpa della mamma Daisy, che dopo aver portato alcune coperte ai migranti in stazione a Como, ha sposato la causa di Don Giusto. Tale madre, tale figlia. “Gli aiuti maggiori- ci dice la mamma di Giorgia – ci arrivano proprio dalla Svizzera, in tutte le forme, dai soldi ai volontari. Non solo dal Ticino ma anche dalla Svizzera interna o da Ginevra. A Como invece in vista delle prossime elezioni le persone si sono raffreddate, gli slogan razzisti fanno il resto. Chissà forse dalla Svizzera, il fatto che le frontiere siano chiuse o meno accessibili, rende le persone più sensibili”. Mentre parliamo, qualche ragazzo si avvicina a Marilù o a Tiziana, le saluta con un bacio, un tocco di mano. Poi vanno via. Con Giorgia e Marilù facciamo il punto della situazione. La parrocchia segue una parte dei minori non accompagnati e altri migranti che scelgono di restare in Italia per i quali è previsto un percorso di integrazione: “Molti ci sono riusciti, stanno qua due anni, poi trovano un lavoro, una casa, anche se per loro non è facile passare da una comunità come la nostra con tante persone, alla vita occidentale da single”. Ma il grosso del lavoro negli ultime mesi è dedicato a un centinaio di migranti che hanno bisogno di dormire da qualche parte. Sono persone che spesso hanno perso il diritto di accoglienza in Italia e non godono del pagamento mensile dello Stato italiano. Queste persone vagano in città per tutto il giorno, in attesa dei documenti, per i quali bisogna aspettare almeno un anno, non possono lavorare, non hanno nulla da fare. Molti di loro sperano di andare in Svizzera , in Germania, nel Nord dell’Europa, c’è chi ha provato a superare il confine ed è tornato, respinto perché è stato “timbrato” in Italia. “Ogni sera al secondo e al terzo piano della parrocchia, divisi tra maschi e femmine- ci spiega l’instancabile Giorgia – prepariamo i letti per loro. Sistemiamo i materassi sui pavimenti la sera e li togliamo la mattina. Da poco ognuno di essi ha un armadietto dove riporre le cose. Tra di loro c’è solidarietà e organizzazione, si aiutano a vicenda. Qui possono fare la doccia solo una volta a settimana, mentre non possono usufruire dei pasti. Noi non possiamo preparare da mangiare. Lo possono fare i campi di accoglienza riconosciuti della Caritas o della Croce Rossa. Il problema è che per un pasto al giorno devono farsi 15 chilometri a piedi”.
Per fortuna i vestiti possono prenderli qui sotto, nel pozzo di Giacobbe, dove Tiziana e Marilù trascorrono buona parte dei loro pomeriggi e dividono le sensazioni con alcuni migranti che in questa stanza aiutano, cuciono, organizzano, separano, raccolgono vestiti. “Qui i momenti sono belli – ci svela Tofik, un marocchino di 24 anni con moglie e figli in patria. Di sera in questa stanza, le parole diventano leggere e vengono fuori le speranze, le delusioni, i rimpianti, gli sbagli e i rimorsi. E anche le lacrime”. Il clima è quello del tatto e della pelle, del saluto con il bacio e degli abbracci, del rispetto. Nonostante tutto. Ma le battaglie e gli sforzi di aiuto continuano. Tiziana domani ha in programma una raccolta fondi a Balerna, ci sarà anche Don Giusto e Marilù, lei è determinata e non si ferma, anche perché l’estate è vicina e in estate gli sbarchi e gli arrivi aumentano. Basta crederci, e l’aria di primavera porta con sé il profumo del coraggio, lo stordimento del sogno possibile, la rabbia e l’ottimismo dell’impulso a volte eccessivo, necessari per nuotare controcorrente.
SALVATORE MEDICI